Ecologia e animalismo: pensieri distanti?

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Per molti è del tutto normale considerare sinonimi termini come ambientalista e animalista. Non è così!

Si tratta di pensieri anche molto distanti, con tesi molto più profonde dei soliti slogan che sentiamo propagandare abitualmente. Peter Staudenmaier è un ecologista di fama, collabora con l’Institute for Social Ecology (USA), e rappresenta uno dei più fecondi esponenti dell’antroposofia. Questa scuola di pensiero, generalmente ricondotta a Rudolf Steiner, cerca una  mediazione filosofica tra scienza e pensiero metafisico.

Leggiamo cosa scrive Staundenmaier per il suo saggio “L’ambiguità dei diritti degli animali”.

In tutta l’Europa e il Nord America, una parte considerevole della scena radicale contemporanea dà per scontato il concetto che la liberazione animale sia parte integrante della politica rivoluzionaria. Molti capaci attivisti impegnati in movimenti anti-capitalisti e anti-autoritari sono cresciuti politicamente nel contesto di campagne per i diritti degli animali, e in alcuni circoli il veganismo e la liberazione animale sono considerati l’apogeo dell’autenticità dell’opposizione. (1)

La finalità di contestare questi punti di vista e di esaminare criticamente i presupposti filosofici e politici che ne sono alla base, non serve per difendere o per condonare lo sfruttamento degli animali non umani negli allevamenti intensivi, nei laboratori cosmetici, e altrove. Gran parte della produzione industriale di prodotti di origine animale corrente è socialmente inutile ed ecologicamente disastrosa, come è da aspettarsi in un’economia basata sulla mercificazione e sul profitto. Né la critica dei diritti degli animali comporta il rifiuto generalizzato di convinzioni personali o scelte di vita. Ci sono una serie di motivi legittimi per astenersi dal mangiare carne o di opporsi al maltrattamento degli animali.Questo saggio esplora alcuni dei motivi illegittimi per farlo. Tale impresa è irta di difficoltà, non ultimo dei quali è il senso di incredulità ed indignazione che quasi sempre suscitano le critiche dei diritti degli animali. Il tema viaggia su un terreno difficile, sia eticamente che politicamente, in parte perché incide direttamente sulle predilezioni alimentari, una questione che è al tempo stesso profondamente privata e inevitabilmente pubblica. Anche se i diritti degli animali implicano molto di più che il vegetarismo o il veganismo, essi tendono ad aggravare la già ipocrita situazione di auto giustizia della politica alimentare, in cui il puritanesimo viene spesso scambiato per radicalismo. (2)

È perciò indispensabile affrontare questi aspetti in maniera diretta, con la speranza di provocare un dibattito più riflessivo in merito ai diritti degli animali. Vedere i diritti degli animali come un tipo specifico di errore morale e un sintomo di confusione politica. Molto simile al suo cugino ideologico, il pacifismo, la teoria politica e morale dei diritti degli animali offre risposte semplici ma false a importanti questioni etiche. Per far crollare tutte insieme le varie posizioni che concorrono alla teoria dei diritti degli animali, vorrei prendere in considerazione alcune di queste questioni da un punto di vista socio-ambientale, al fine di mostrare perché gran parte della ideologia dei diritti animali è sia anti-umanista che anti-ecologica, e perché il suo ragionamento è spesso in contrasto con il progetto di creare un mondo libero. (3)

Il tentativo di estendere ai non umani strutture etiche per natura umane, è allo stesso tempo troppo ambizioso e troppo ingenuo. Fraintende fondamentalmente ciò che è peculiare degli esseri umani e la nostra relazione con il mondo naturale dal punto di vista morale, e al tempo stesso considera “superiori” gli animali antropomorficamente, ignorando completamente la maggior parte delle creature che rendono questo pianeta ciò che è. Ma il problema con l’ideologia dei diritti degli animali va più in profondità ancora. Il progetto molto semplice di estensione agli animali degli attuali sistemi morali umani, piuttosto che la loro radicale trasformazione, è viziata fin dall’inizio. Molti teorici dei diritti animali riconoscono prontamente che le principali tradizioni di pensiero etico occidentali non sono soddisfacenti, ma concentrano le loro critiche sull’antropocentrismo su cui la moralità tradizionale si basa. Questo non è convincente, il problema principale con la tradizione più diffuso in occidente non è il fatto che promuova l’etica antropocentrica, ma che promuova l’etica borghese.(4)

Le forme fondamentali di filosofia morale accademica sono immerse nei valori capitalistici, dalla nozione di “interessi” alla nozione di “contratto”, l’analisi standard di “moralità” replica rapporti di scambio, e la concezione individualistica della morale oscura i contesti sociali che producono e sostengono determinate azioni o che le ostacolano. Ma queste forme sono le stesse che i teorici dei diritti degli animali ci chiedono di applicare a tali creature che sono state generalmente trascurate dalla filosofia morale. In questo modo la dottrina della liberazione animale perpetua e rafforza gli assunti liberali che sono egemoni all’interno delle culture contemporanee del capitalismo, con il pretesto di contestarli. In effetti una delle ragioni principali della popolarità delle teorie sui diritti degli animali all’interno di circoli radicali è che esse sembrino apparire come un affronto estremo allo status quo, mentre in realtà recuperano i fondamenti ideologici dello status quo.
Basandosi su una dubbia analogia tra forme istituzionalizzate di dominio sociale e gerarchia, i sostenitori dei diritti degli animali sostengono che disegnare una distinzione eticamente significativa tra esseri umani e animali non umani sia una forma di “specismo”, un mero pregiudizio che consente ai membri di una specie di esercitare illegittimamente i privilegi della propria specie su più membri di altre specie. Secondo questa teoria, gli animali che mostrano un certo livello di complessità dal punto di vista fisiologico e psicologico, di solito vertebrati, cioè pesci, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi, hanno lo stesso status morale di base degli esseri umani. Il sistema nervoso centrale è, in fondo, ciò che conferisce loro considerabilità morale, e perciò, secondo tale teoria, le creature che hanno la capacità di provare dolore hanno uno status morale. Questi animali sono spesso indicati come “senzienti”.
Pertanto, secondo la filosofia che sostiene i diritti animali, tracciare una distinzione tra gli esseri umani e le altre creature senzienti è arbitrario e ingiustificato, allo stesso modo in cui il razzismo e il sessismo hanno ingiustamente ritenuto le donne e le persone di colore immeritevoli di uguaglianza morale. Il passo logico successivo per ampliare il cerchio di considerazione etica è quello di superare lo specismo e garantire eguale considerazione degli interessi di tutti gli esseri senzienti, umani e non umani. (5)

Questi argomenti sono seducenti ma falsi. L’analogia con il movimento dei diritti civili e il movimento delle donne è banalizzante e anacronistica. Entrambi i movimenti sociali sono stati avviati e guidati da membri dei gruppi di diretti interessati, non dagli uomini benevoli o da persone bianche che agivano per loro conto. Entrambi i movimenti sono stati costruiti proprio intorno all’idea di bonificare e riaffermare una comune umanità di fronte a una società che gliela aveva tolta e negata. Nessun attivista per i diritti civili o femminista ha mai sostenuto: “Siamo esseri più senzienti!”, essi hanno affermato: “Siamo pienamente umani!”. La dottrina della liberazione animale è ben lontana dall’estendere questo impulso umanista.

Inoltre, la posizione che sostiene i diritti degli animali dimentica un aspetto cruciale dell’azione etica. Vi è infatti una distinzione di fondamentale importanza tra agenti morali (esseri capaci di dare una valutazione etica, effettuare scelte morali, e agire secondo il proprio giudizio) e tutti gli altri esseri moralmente rilevanti. Gli agenti morali sono gli unici in grado di formulare, articolare, e difendere una concezione dei propri interessi. Non ci sono altri esseri moralmente rilevanti che sono capaci di questo, infatti i loro interessi da prendere in considerazione nella deliberazione etica devono essere imputati e interpretati da un agente morale. Per quanto ne sappiamo, gli esseri umani adulti mentalmente competenti sono gli unici agenti morali esistenti. (6)Questa distinzione è decisiva e fondamentale per l’etica stessa. Per agire in modo etico, tra le altre cose, bisogna rispettare il principio secondo cui la persuasione e il consenso sono preferibili alla coercizione e alla manipolazione. Questo principio non può essere applicato direttamente alle interazioni umane con gli animali. Gli animali non possono essere persuasi e non possono dare il proprio consenso. Al fine di considerare cosa rappresenti il benessere per un animale, devono essere gli agenti morali a decidere col proprio metro ciò che sono gli interessi dell’animale. Questo, nel caso di altri agenti morali, non è solo moralmente inaccettabile, ma illegittimo in condizioni normali. Per cogliere il significato di questa differenza, si consideri quanto segue. Io vivo con diverse persone e un certo numero di gatti verso i quali ho varie responsabilità etiche. Se io sono convinto che uno dei miei coinquilini umani abbia bisogno di prendere un qualche tipo di medicina, non è necessario che io lo alimenti forzatamente con tale medicina, a meno che non sia uno squilibrato. Posso provare a convincerlo, con argomentazioni razionali ed etiche, che sarebbe meglio se prendesse la medicina. Ma se penso che uno dei gatti abbia bisogno di prendere un qualche tipo di medicina, non ho altra scelta che forzarlo a mangiarla o inventarmi un trucco per fargliela mangiare. (7) In altre parole, considerando gli interessi degli animali, trattarli come esseri moralmente rilevanti richiede un tipo di azione etica molto diversa dal tipo che è in genere appropriato con altre persone. L’incapacità di tenere conto di questa caratteristica saliente della condotta morale è una delle ragioni per cui così tanti sostenitori dei diritti degli animali sono ostili ai valori umanistici. Ma un altrettanto grave mancanza del pensiero sui diritti degli animali è la sua dimenticanza di valori ecologici. Ricordiamo che la filosofia dei diritti animali, si basa solo su singole creature dotate di sensibilità che meritano considerazione morale. Alberi, piante, laghi, fiumi, foreste, ecosistemi, e la maggior parte delle altre creature che gli zoologi classificano come “animali”, pare non abbia per esso interessi: il loro benessere vale solo in quanto promuove gli interessi degli esseri senzienti. I difensori dei diritti degli animali hanno semplicemente scambiato lo specismo con il “phylumismo”.(8)

Così, anche nei suoi termini, il tentativo di espandere il cerchio della considerazione morale al di là del regno umano al mondo naturale attraverso i diritti degli animali è facilmente smontabile. Ma il problema non è soltanto nella sua limitatezza. Il suo approccio ai diritti individuali, la sua visione contemporanea degli interessi, la sofferenza ed il benessere, non può conciliarsi con una prospettiva ecologica. Il benessere di una comunità intesa come complesso ecologico, con i suoi terreni, rocce, acque, micro-organismi, e abitanti animali e vegetali, non può essere ridotto al benessere dei suoi abitanti come individui. Le relazioni dinamiche tra i membri costituenti il gruppo sono importanti tanto quanto i diversi interessi di ciascun membro del gruppo.

Per mettere a fuoco gli interessi dei soli animali (anzi, della piccola minoranza rappresentata da quelli senzienti), e per ipotizzare un generale obbligo di non danneggiare questi interessi o causare sofferenza, si finisce col perdere di vista la dimensione ecologica del tutto. (9)

Gli interessi in conflitto sono parte di ciò che rappresenta la magnifica varietà e la complessità del mondo naturale, l’idea di garantire pari considerazione di tutti tali interessi è incoerente in termini ecologici ed evolutivi. Ciò resta vero anche in una società completamente vegetariana popolata esclusivamente da agricoltori di sussistenza, infatti, colture alimentari di qualsiasi tipo, la privazione sistematica di habitat e di sostentamento per alcuni animali richiede la continua frustrazione dei loro interessi. Estendere il paradigma dei diritti individuali agli animali senzienti oscura semplicemente questo aspetto fondamentale dell’esistenza terrestre. (10)

I diritti degli animali degradano in tal modo, piuttosto che sviluppare, l’impulso umanista incarnato in movimenti di liberazione sociale, e la sua spinta filosofica di base è direttamente in contrasto con il progetto di elaborare un’etica ecologica. Come teoria morale, lascia molto a desiderare. E che dire delle sue affiliazioni politiche e delle sue implicazioni pratiche? Anche qui lo scetticismo è d’uopo.

Tutte le fazioni interagenti nel campo dei diritti animali sembrano condividere una fede profonda nel potenziale rivoluzionario di decisioni di acquisto e scelte di consumo, ritenendo, ad esempio, che se molte persone smettessero di acquistare la carne, gli allevamenti intensivi andrebbero fuori dal mercato. Questo impegno per condizionare le scelte dei consumatori rappresenta un classico approccio politico finalizzato al cambiamento sociale che evidenzia ulteriormente il debito che la liberazione animale ha nei confronti del liberalismo. Rivela anche un malinteso elementare della struttura delle economie capitaliste. (11)

Anche all’interno dei ristretti confini dello “shopping etico” un punto di vista concentrato sui diritti animali spesso confonde sulle questioni rilevanti. Invece di indagare sulle condizioni sociali ed ecologiche nelle quali le banane ed il caffè, ad esempio, raggiungono i carrelli della spesa e i tavoli da cucina a Seattle e di Stoccolma, l’attenzione miope sulla sensibilità degli animali ci chiede di guardare con sospetto il pollame ruspante allevato localmente.
Questo spostamento dell’attenzione regressivo dall’economia politica della produzione alimentare ai rimorsi di coscienza per i consumi individuali è la testimonianza della polarizzazione e l’insularità culturale da cui scaturisce in gran parte il concetto di diritti degli animali. I sostenitori dei diritti degli animali sostengono una gamma di scelte alimentari tipiche di un ristretto strato socio-economico e la vorrebbero elevare a virtù universale, stigmatizzando le fonti di proteinecomunemente disponibili alle comunità economicamente svantaggiate urbane, rurali, alle famiglie della classe lavoratrice, e ai contadini nel sud del mondo. (12)
I pregiudizi culturali insiti nell’ideologia che sostiene i diritti degli animali portano implicazioni politiche che la rendono inevitabilmente elitaria. Una presa di posizione coerente sui diritti degli animali, dopo tutto, richiederebbe a molti popoli indigeni di abbandonare completamente i loro mezzi di sussistenza sostenibili e i loro modi di vita. I diritti degli animali non offrono alcuna ragionevole alternativa alle comunità, come gli Inuit, la cui esistenza nella loro nicchia ecologica si basa sulla caccia degli animali. Un punto di vista orientato ai diritti degli animali non può che guardare con disprezzo le società contadine in America Latina e altrove che dipendono da una zootecnia su piccola scala, parte integrante della loro dieta, così come i pastori in Africa e in Asia centrale, che si basano sugli animali per mantenere le loro tradizionali economie di sussistenza che continuano a sopravvivere all’imposizione coloniale del capitalismo. Queste non sono questioni di “gusto”, ma di sostenibilità e sopravvivenza.

Abbandonare queste pratiche non ha senso né ecologico né sociale, ed equivarrebbe ad eliminare queste società che si sono distinte, per assimilarle agli standard di moralità e di nutrizione delle classi medie occidentali convinte della loro rettitudine. I sostenitori dei diritti animali dimenticano troppo spesso che il loro sistema di credenze è essenzialmente un costrutto di derivazione europea, e trascurano le ripercussioni pratiche dell’universalizzare un principio incondizionato dell’essere umano qual è la condotta morale in quanto tale. (13)

Questa combinazione di campanilismo ed intolleranza è quanto mai evidente, ad esempio, nelle animosità contro la caccia. Molti sostenitori dei diritti degli animali non possono concepire la caccia come qualcosa di diverso da una attività brutale e insensata intrapresa per motivi spregevoli. Incuranti dei propri pregiudizi, considerano la caccia un’espressione del pregiudizio specista. Questi teorici dei diritti degli animali trascurano che l’attività di caccia fornisca spesso un supplemento stagionale significativo alla dieta delle popolazioni rurali che non possono permettersi il lusso di mangiare tempeh e seitan.
Anche le comunità indigene che è risaputo siano impegnate solo nella caccia tradizionale a basso impatto sono state minacciate e vilipese dagli attivisti per i diritti degli animali. La campagna contro la caccia alle foche nel 1980, per esempio, prese ben visibilmente di mira le pratiche Inuit. (14)

Alla fine del 1990, il popolo Makah della Baia di Neah negli Stati Uniti nord-occidentali ha cercato di ristabilire il proprio diritto di caccia alle balene per raccogliere esattamente una balena grigia nel 1999. La caccia dei Makah non era commerciale, ma a fini di sussistenza, e “fastidiosamente” umana, ha scelto una specie di balena che non è in pericolo e ha fatto passi considerevoli per accogliere il sentimento anti-caccia alle balene.

Tuttavia, quando i Makah hanno tentato di intraprendere la loro prima spedizione nel 1998, si sono ritrovati di fronte la Sea Shepherd Society e ad altre organizzazioni per la protezione degli animali, che hanno occupato la Baia di Neah per diversi mesi. Per questi gruppi, i diritti degli animali hanno la precedenza sui diritti umani e molti di questi sostenitori dei diritti degli animali hanno “impreziosito” la loro retorica pro-balena con stereotipi razzisti contro i popoli indigeni e si sono schierati con i sostenitori irriducibili della dominazione coloniale e l’espropriazione. (15)
Tali esempi sono tutt’altro che rari. In realtà, il sentimento per i diritti degli animali è spesso servito come mezzo di ingresso per le posizioni di destra in movimenti di sinistra. Poiché gran parte della sinistra è stata generalmente riluttante a pensare chiaramente e criticamente alla natura, alla politica biologica, e alla complessità etica, questa affinità inquietante tra i diritti degli animali e la politica di destra ha lontane origini storiche e rimane tutt’ora un problema serio.
Mentre è difficilmente riscontrabile nell’insieme della corrente, non è raro trovare tra i sostenitori più accesi della liberazione animale posizioni che sposano anche la ferma opposizione all’aborto, l’omosessualità ed altri fenomeni presumibilmente “innaturali”. La tendenza alla linea dura diffusasi dal 1990 dal Nord America verso l’Europa centrale, è forse l’esempio più eclatante. (16)

Ma le connessioni che si estendono verso la politica reazionaria sono sostanzialmente maggiori. Il gruppo giovanile russo “Moving Together” (Muoversi Insieme), un’organizzazione ultranazionalista e sessualmente repressiva, ha fatto della protezione degli animali uno dei punti centrali della sua piattaforma, mentre la svizzera “Association Against Animal Factories” (Associazione contro le fabbriche di animali) sguazza nella propaganda antisemita. In Danimarca, l’unico partito con un programma dedicato ai problemi degli animali è il “Partito popolare danese anti-immigrati”, mentre l’estrema destra “British National Party” (Partito nazionale Britannico) si vanta del suo impegno per i diritti degli animali. La scena contemporanea neofascista in Europa e in Nord America ha mostrato un costante interesse per il tema e, negli ultimi dieci anni molti “rivoluzionari nazionalisti” e ” Third Positionists ” sono attivamente coinvolti in campagne per i diritti degli animali. (17)

Anche se questa sovrapposizione tra la diffusa politica di liberazione animale e la destra xenofoba e autoritaria può sembrare incongrua, essa ha svolto un ruolo di primo piano nella storia del fascismo sin dagli inizi del XX secolo. Molti teorici fascisti si vantavano costantemente di rifiutare l’antropocentrismo nel loro movimento, e la variante tedesca del fascismo (il nazismo), in particolare, spesso tendeva verso una forte posizione di tutela dei diritti degli animali. Testi di biologia nazisti insistono sul fatto che “non esistono caratteristiche fisiche o psicologiche tali da giustificare una differenziazione dell’uomo dal mondo animale.”(18)

Hitler stesso era impegnato con zelo nelle cause inerenti al benessere degli animali, ed è stato un vegetariano ed avversario della vivisezione. Il suo luogotenente Goebbels ha dichiarato: “Il Fuhrer è un vegetariano convinto, in linea di principio. Le sue argomentazioni non possono essere confutate su una base seria. Sono del tutto inspiegabili.”(19) Altri importanti nazisti, come Rudolf Hess, sono stati ancora più rigorosi nel loro vegetarismo, e il partito ha promosso frutta cruda e semi come dieta ideale, proprio come i vegani più scrupolosi oggi. Himmler ha duramente criticato la caccia e richiesto che i vertici delle SS seguissero un regime dietetico vegetariano, mentre Goering ha vietato la sperimentazione animale.

L’elenco delle posizioni pro-animali manifestate dai principali nazisti è lunga, ma più importanti sono le politiche per i diritti degli animali attuate dallo Stato nazista e l’ideologia di fondo che le giustificava. Nel giro di pochi mesi dalla presa del potere, i nazisti hanno approvato una scala di leggi sui diritti degli animali che erano senza precedenti e che esplicitamente affermavano lo status morale degli animali indipendente da ogni interesse umano. Questi decreti hanno sottolineato il dovere di evitare di causare dolore agli animali e definito linee guida estremamente dettagliate e concrete per le interazioni con gli animali. Secondo uno dei principali studiosi della legislazione nazista sugli animali “la legge sulla protezione degli animali del 1933 era probabilmente la più severa al mondo”. (20)
Una raccolta di leggi naziste sulla protezione degli animali del 1939 proclamava che “il popolo tedesco ha sempre avuto un grande amore per gli animali ed è sempre stato consapevole dei nostri forti obblighi etici verso di loro.” Le leggi naziste hanno insistito sul “diritto che gli animali possiedono intrinsecamente di essere protetti in sé e per sé “(21), non si trattava di semplice postulati filosofici, le ordinanze regolamentavano strettamente il trattamento ammissibile degli animali domestici e selvatici e designavano una varietà di specie protette, limitando l’uso commerciale e scientifico degli animali. Il ragionamento ufficiale alla base di questi decreti era notevolmente simile agli argomenti usati negli ultimi anni dai sostenitori dei diritti degli animali. “Per il tedesco, gli animali non sono solo creature nel senso organico, ma creature che conducono la propria vita e che sono dotate di strutture percettive, che sentono il dolore e la gioia”, ha osservato Goering nel 1933 mentre annunciava una nuova legge anti-vivisezione. (22)
Gli attivisti per la liberazione animale contemporanei non gradiscono certamente questa passata e presente inquietante correlazione tra sostenitori dei diritti animali e nazisti, al punto di cercare di fornire una nuova interpretazione di questi fatti per suggerire che non vi sia inevitabilmente una connessione tra i diritti degli animali e il nazismo. (23) Ma il modello storico è inconfondibile e vi è anche una spiegazione. Ciò che aiuta a spiegare questo incrocio costante di visioni del mondo apparentemente opposte è una preoccupazione comune per la “purezza”. La presunzione che la vera virtù passi dal ripudio di pratiche apparentemente immonde come il mangiare la carne, fornisce gran parte della veemenza emotiva che spinge il movimento per i diritti degli animali. Quando è scollegata da una articolata visione critica della società e da una sensibilità ecologica globale, questa visione politica puritana può facilmente scivolare in una visione distorta della purezza etnica, sessuale, o ideologica.

Strettamente correlata è l’insistenza ricorrente ad affrontare la questione dei diritti degli animali in un approccio unitario con le questioni morali. Rifiutando il dualismo tra umanità e natura non umana, i filosofi dei diritti degli animali comprimono indebitamente i due temi in uno del tutto indifferenziato, sostituendo così il monismo al dualismo (e trascurando la maggior parte del processo naturale del mondo). Ma i sogni regressivi di purezza e unicità non hanno alcun potenziale emancipatorio, le loro implicazioni politiche vanno dal banale al pericoloso. Nelle mani sbagliate, una visione semplicistica di liberazione dallo specismo non giova né alle persone né agli animali, ma sfocia semplicemente nell’antiumanesimo che ha sempre trasformato le speranze radicali nel loro opposto reazionario.

Invece di postulare uno statico ed unidimensionale paesaggio morale popolato da esseri umani e animali gli uni di fronte agli altri in condizioni di parità, le politiche per i diritti degli animali dovrebbero prendere in considerazione un’alternativa più complessa: un punto di vista etico variegato che comprende una dimensione sociale e una dimensione ecologica senza confondere le due. Un tale approccio riconosce la continuità fondamentale tra l’uomo e il resto del mondo naturale nel rispetto delle distinzioni eticamente significative che segnano questo continuum. Incorporando una visione dialettica dei processi naturali e delle entità, questa prospettiva alternativa comprende l’abbondanza soffocante, la raffinatezza, e la diversità delle forme di vita e delle comunità che vivono sulla terra come occasione di meraviglia e come valore in sé.
La dinamica che ha generato questa profusione meravigliosa di vita può essere intesa come una dialettica di cooperazione e competizione. (24) Gli esseri umani sono le prime creature capaci di trascendere questa dialettica, ed hanno coscienza e capacità di accrescere la cooperazione attraverso la strutturazione di interazioni reciprocamente vantaggiose tra di loro e con le altre creature. Questa potenziale cooperatività ha due componenti distinte: una interumana e sociale, e l’altra interspecifica ed ecologica.
In ambito sociale, la possibilità di creare rapporti di collaborazione è, fondamentalmente, universale. Anche se sarebbe ingenuo pensare che gli interessi contrapposti scompariranno in una società libera, non vi è motivo naturale per la persistenza di una grande competizione sociale. Per quanto riguarda il resto della biosfera, invece, il potenziale cooperativo è notevolmente circoscritto. Non è solo impossibile da eliminare la concorrenza tra gli organismi per le risorse, gli habitat, e così via, ma la nozione stessa è profondamente incompatibile con i parametri di base dei sistemi viventi. Le potenzialità di cooperazione tra gli esseri umani e gli altri animali sono quindi più modesti e più particolari.
Uno sforzo ecologicamente e socialmente credibile per prendere sul serio gli interessi degli animali consiste nell’assumere il concetto che uccidere e danneggiare sono azioni sbagliate di per sé, e superare la dicotomia che pone gli esseri senzienti contro quelli non-senzienti, integrando la preoccupazione per il benessere degli animali in una visione inclusiva per il benessere di intere comunità ecologiche. In pratica, ciò porterebbe con ogni probabilità ad una crescita dell’attenzione verso il trattamento umano degli animali, sostenuta dalla consapevolezza che perseguire valori umanistici è un vantaggio, piuttosto che un ostacolo. La gente non arriverà mai a trattare gli animali con umanità fino a quando le persone – tutte le persone – non saranno trattate umanamente.
Nessuna di queste potenzialità etiche può essere realizzato, però, fino a quando continueremo a replicare istituzioni sociali costruite intorno a dominio e gerarchia. Il superamento di queste strutture richiede una trasformazione rivoluzionaria, eticamente e politicamente Questo obiettivo di grande importanza storica può essere raggiunto solo da un movimento che rivendica, non respinge, la comprensione esclusivamente umana della libertà. Nella loro forma attuale, la filosofia e la politica dei diritti degli animali non ci possono guidare verso questo obiettivo.

(1) Per questo saggio sto ignorando le differenze tra “diritti animali” e “liberazione animale”. Userò i termini in maniera più o meno intercambiabile per indicare la convinzione che fare del male e uccidere animali non umani sia del tutto inammissibile.

(2) Un’ulteriore complicazione deriva dal fatto che molti sostenitori dei diritti degli animali sono caratterizzati anche dal praticare un eclettismo sfuggente: Quando vengono contestate le loro motivazioni filosofiche, ben presto spostano i termini della controversia sulla politica. Quando le loro rivendicazioni politiche sono confutate, ricadono su argomenti di economia o di religione o di biologia o di salute personale. Miscelando liberamente affermazioni empiriche ed apprese, si sono ritagliati una banda larga attraverso l’antropologia, l’etologia, la linguistica, la psicologia, ed una serie di altri campi. Questo può rendere difficile valutare la posta in gioco ed è per questo che cercherò di tener conto di una varietà di posizioni sui diritti degli animali nella mia critica.(3) La mia analisi si basa principalmente sui seguenti testi: Peter Singer: “Animal Liberation”, Tom Regan: “The Case for Animal Rights”, Mary Midgley: “Animals and Why They Matter”, James Rachels: “Created from Animals: The Moral Implications of Darwinism”, David DeGrazia: “Taking Animals Seriously”, Gary Francione: “Rain Without Thunder: The Ideology of the Animal Rights Movement”.

(4) L’antropocentrismo è un’ideologia che serve a mascherare le cruciali divisioni all’interno dell’umanità. I liberazionisti animali non sono i soli ad avversare questa funzione dell’antropocentrismo, questo pensiero è ampiamente diffuso nella filosofia ambientale contemporanea. I movimenti per il cambiamento sociale spesso hanno commesso un errore confondendo le istituzioni con le ideologie dei singoli (si pensi, ad esempio, alle critiche al razzismo che molti concepiscono come un insieme di atteggiamenti da cambiare con appelli alla coscienza), questo è l’idealismo tipico degli aspiranti riformatori. Il movimento per i diritti animali, insieme a gran parte della filosofia ecocentrica, ha fatto l’errore opposto, e quindi ceduto a un diverso tipo di idealismo. Si confonde l’ideologia di antropocentrismo per un’istituzione vera e propria, una forma di pratica sociale. Ma non ci sono potenti istituzioni antropocentriche, solo quelle elitarie che si nascondono dietro una venerazione universale. Il capitalismo, il patriarcato, e la supremazia bianca, per scegliere tre esempi importanti, certamente non rappresentano i privilegi degli esseri umani in quanto tali, ma piuttosto i privilegi di alcuni esseri umani rispetto ad altri esseri umani.

(5) La classica legittimazione di questa linea di ragionamento si trova nel libro “Liberazione Animale” di Peter Singer, che si basa su l’idea che il movimento di liberazione animale sia naturalmente assimilabile ai movimenti di liberazione sociale del 1960 e che la struttura logica del razzismo, del sessismo e dello “specismo” sono identici.
(6) Il fatto che i teorici dei diritti degli animali siano interessati a rispondere che gli umani neonati e gli adulti disabili mentali non sono agenti in questo senso, è un punto che ritengo essere ovvio e irrilevante per la questione che si tratta. Non sto sostenendo che la considerabilità morale sia limitata ad agenti morali, né che ci sia un divario ontologico tra gli esseri umani e gli altri organismi. Quale sia il ruolo peculiare degli agenti morali è dimostrato da alcune distinzioni tra i diversi tipi di considerabilità morale che sono totalmente garantiti, e che la semplice considerazione paritaria degli interessi non riesce a cogliere alcuni aspetti fondamentali dell’azione etica.
(7) Riconoscere lo status speciale degli esseri umani adulti competenti in questo senso non è un esempio di privilegio o pregiudizio. Non è più arbitrario che riconoscere che le donne hanno uno status speciale nelle decisioni riproduttive, o che i portieri hanno uno status speciale nelle partite di calcio, o che i piloti hanno uno status speciale per il trasporto aereo. Gridare al “privilegio” in questo contesto è analogo a condannare l’ingiustizia del fatto che solo gli ungheresi possono partecipare a una conversazione in quella lingua. Dal momento che il trasferimento interspecifico di ciò è impossibile, anche una anomala posizione di agenti morali umani è destinata a persistere fino all’incontro con altri esseri che sono in grado di impegnarsi in un discorso etico.
(8) Tecnicamente il phylum Chordata comprende animali che hanno un sistema nervoso centrale, indipendentemente dal fatto che abbiano una colonna vertebrale completamente formata, è l’approssimazione tassonomica più vicina al tipo di animali che i teorici dei diritti degli animali considerano “animali”, anche se molti sostenitori dei diritti degli animali si concentrano principalmente sulla classe ancora più piccola di mammiferi. Mentre i portavoce di primo piano della liberazione animale, come Peter Singer hanno esplicitamente difeso la tesi secondo cui qualsiasi tipo di organismi può avere morale, questa posizione non è necessariamente condivisa da tutti i filosofi dei diritti degli animali. Tom Regan, ad esempio, riconosce che forme di vita non senzienti possono avere un valore intrinseco che potrebbe essere rappresentato all’interno di un’etica ambientale più ampia. Ma un quadro di diritti è palesemente inadatto a tale progetto; un’etica ecologica significativa non può essere basata sugli interessi dei singoli organismi, senzienti o meno.
(9) L’enfasi posta sulla sofferenza è discutibile, in ogni caso. Che il benessere fisico comporti una certa avversione per il dolore è una verità lapalissiana, ma questo ci dice poco sul suo significato morale. Soprattutto nelle sue varianti utilitaristiche, la teoria sulla liberazione animale tratta senza porsi problemi il dolore come un male morale e il piacere come un bene morale. Tale identificazione è semplice e inverosimilmente semplicistica anche all’interno della sfera sociale, non vi sono pochi casi in cui il dolore è un desideratum morale, così come vi sono casi in cui il piacere dovrebbe essere scoraggiato, piuttosto che favorito. La rilevanza etica delle esperienze sensoriali è interamente dipendente dal contesto.
(10) La concezione dei diritti come attributi individuali che funzionano come una sorta di morale vincente si è evoluta in relazione alla nozione di responsabilità reciproca, l’uno implica l’altro. Queste idee sono state inoltre sviluppate in un contesto sociale che ha goduto della deliberazione democratica su istanze contrapposte, nel corso della quale i portatori di diritti hanno continuamente affinato e modificato le loro affermazioni morali. Questo contesto non può essere trasferito ad interazioni uomo-animale. Non c’è alcun modo in cui gli animali possono essere tenuti a partecipare alle loro responsabilità, e le loro rivendicazioni dei diritti può essere avanzata solo per rappresentanza, tramite intermediari umani. Inserita in questo quadro concettuale, la visione liberale dei diritti degli animali è inevitabilmente paternalistica.
(11) Che la produzione, non la circolazione, sia il settore decisivo nelle economie di mercato è stato un pilastro di analisi radicale del capitalismo in quanto il primo volume del Capitale è stato pubblicato nel 1867. Ma questa intuizione non è certo solo dei marxisti. Anche gli economisti tradizionali concordano sul fatto che la spesa dei consumatori “non è una forza trainante per la nostra economia, ma una guida.” Robert Heilbroner e Lester Thurow, Economia spiegato, New York 1998, p. 92.
(12) Il libro di Kathryn Paxton George “Animal, Vegetable, or Woman”. Una critica femminista del vegetarianismo etico (Albany 2000) che critica provocatoriamente questo modello culturale elitario e fisiologico, insieme con i suoi presupposti curiosamente miopi in campo nutrizionale, come espressione di parzialità maschile. Allo stesso modo, l’articolo di Michael Pollan “An Animal’s Place” è una diagnosi dell’ideologia dei diritti degli animali vista come una ideologia tipicamente urbana che riflette un rapporto distaccato e distorto con il mondo naturale. L’articolo Pollan è disponibile sul sito:
http://www.organicconsumers.org/organic/010403_organic.cfm
(13) È certamente vero che molte tradizioni culturali non occidentali hanno coltivato un atteggiamento decisamente più rispettoso nei confronti degli animali. Infatti molti europei ed euro-americani sono arrivati al vegetarismo attraverso l’incontro con le tradizioni spirituali orientali, in genere riviste attraverso una lente orientalista e romantica. Il mio punto di vista è semplicemente che la vera e propria filosofia dei diritti degli animali è in definitiva una reazione contro la mancanza comparativa del patrimonio occidentale di attenzione per gli animali, una reazione che si trova ben all’interno dei confini di quel patrimonio.
(14) Sulla campagna anti pesca della società e sul suo impatto sulla popolazione Inuit (eschimesi), vedere George Wenzel “Animal Rights, Human Rights: Ecology, Economy and Ideology in the Canadian Arctic” (Toronto 1991).
(15) Per un’analisi incisiva dello scontro con i Makah per la caccia alle balene, vedere l’articolo di Alx Dark “The Makah Whale Hunt” sul sito:
http://www.cnie.org/nae/cases/makah/
(16) La fazione ” Hardline ” è cresciuta fuori del movimento “Straight Edge” nella cultura punk, e combina veganismo senza compromessi con una politica presumibilmente “pro-vita”. La Linea dura crede nell’auto-purificazione da varie forme di ‘inquinamento’: prodotti di origine animale, tabacco, alcool, droghe, e i comportamenti sessuali “devianti”, come l’aborto o l’omosessualità, e con essa qualsiasi atto di sesso compiuto per piacere piuttosto che per la procreazione. La loro versione della liberazione animale professa un’autorità assoluta sulla base delle “leggi della natura”. Nel “Credo Hardline” si legge: “È giunto il momento di un’ideologia e di un movimento che è sia fisicamente che moralmente abbastanza forte per fare la battaglia contro le forze del male che stanno distruggendo la terra (e tutta la vita su di essa). … L’ideologia de movimento, è una linea dura: un sistema di credenze, e un modo di vita che sostiene che tutta la vita innocente è sacra, e deve avere il diritto di vivere il suo stato naturale di esistenza in pace, senza interferenze. … Qualsiasi azione che fa interferire con tali diritti non deve essere considerata un “diritto” in sé, e quindi non è tollerata. Coloro che fanno del male o distruggono la vita intorno a loro, o creano una situazione in cui è minacciata la vita o la qualità di essa, devono da allora in poi non essere più considerati vita innocente, ed a sua volta non avranno più diritti. Gli aderenti alla linea dura si attengono a questi principi nella vita quotidiana. Essi vivono in armonia con le leggi della natura, e non li abbandonano per il desiderio del piacere, per atti sessuali devianti e / o per l’aborto, il consumo di stupefacenti di qualsiasi tipo. E, consequenziale alla convinzione che non si deve violare una vita innocente, nessun prodotto animale deve essere consumato (sia esso carne, latte o uova). Insieme a questa purezza di vita di tutti i giorni, l’autentico membro della linea dura deve sforzarsi di liberare il resto del mondo dalle sue catene, salvare vite umane, in alcuni casi, e in altri, distribuendo giustizia ai colpevoli di distruggerla. Vedi:
http://www.faqs.org/faqs/cultures/straight-edge-faq/section-88.html
e http://www.fortunecity.com/greenfield/shell/5/sxe4life.htm#hardline
(17) Le correnti rivoluzionarie nazionaliste e le Third Position si rifanno alle principali posizioni fasciste del 1920 e 1930, in particolare ai “dissidenti” nazisti come i fratelli Strasser. Un aspetto sempre più comune di questa tendenza è il suo abbraccio delle politiche
di liberazione animale. Vedere: http://autarky.rosenoire.org/nrf/personaldefence.html Il flirt tra neofascisti e liberatori di animali non è stato unilaterale. Jutta Ditfurth fornisce una panoramica eccellente della recrudescenza di estrema destra che si nota tra i gruppi animalisti in Germania nel suo libro “Entspannt in die Barbarei” (Hamburg 1996), esp. Chapter 5.
(18) Citato da Louis Snyder, in “Enciclopedia del Terzo Reich” (New York 1976) p. 79. Questa presa di posizione ha avuto una lunga storia all’interno di circoli di destra in Germania tra la fine del XIX e all’inizio del ventesimo secolo, un periodo in cui il vegetarianismo e il sentimento per il benessere degli animali spesso andava di pari passo con la mitologia razziale e convinzioni politiche e culturali autoritarie.
(19) Joseph Goebbels citato da Robert Proctor in “The Nazi War on Cancer” (Princeton 1999) p. 136. È importante riconoscere che il vegetarianismo di Hitler era una questione di convinzione, non solo il capriccio eccentrico di un dittatore folle. Sottolineo questo non per mettere in imbarazzo i vegetariani contemporanei, tanto meno per sostenere la ricerca fuorviante di “buone” caratteristiche del nazismo, ma per sottolineare le analogie intellettuali in questo lavoro. Il capitolo 5 del libro di Proctor, “The Nazi Diet”, offre una valutazione informata della politica alimentare del nazismo.
(20) Boria Sax “Animals in the Third Reich” (New York 2000), p. 112. Il libro di Sax è una preziosa fonte sugli atteggiamenti nazisti nei confronti degli animali.
(21) Citato in Luc Ferry “The New Ecological Order (Paris 1992; Chicago 1995), pp. 99-100. Il libro di Sax contiene una presentazione compatta dello stesso passaggio alle pp 121-2.
(22) Hermann Goering citato da Sax, pag. 111. Per i lettori che hanno familiarità con la letteratura filosofica sulla liberazione animale, è impossibile non cogliere la risonanza di questo passo con la concezione di Regan degli animali senzienti come “soggetti di una vita” e l’enfasi di Singer sulla loro capacità di provare dolore. L’eredità di concezioni naziste dei diritti degli animali dovrebbe essere un motivo sufficiente (se ancora ce ne fosse bisogno) per far abbandonare ai sostenitori della liberazione animale i loro sconsiderati paragoni tra allevamenti intensivi e campi di sterminio.
(23) In effetti, un certo numero di sostenitori dei diritti degli animali di sinistra sono anche attivi anti-fascisti. La mia critica non è destinata ad impugnare il loro impegno politico, ma per attirare l’attenzione sulle ambiguità filosofiche e storiche del tentativo di assimilare l’emancipazione sociale con la liberazione animale.
(24) Questa intuizione è tutt’altro che nuova, anche nella sua forma moderna si riferisce a Kropotkin. Gli appassionati dei diritti degli animali sembrano alternativamente dimenticare gli aspetti di concorrenza e cooperazione di questo processo, e, soprattutto, sembrano ignorare il fatto che tutte le creature diventano cibo per le altre creature, un destino che è interamente di crescita e non certo preoccupante. Questa non è la natura crudele fatta di denti e artigli, ma la bellezza incomparabile dell’evoluzione naturale.

Dello stesso autore: Disney Ecology, Ecofascism: Lessons from the German Experience scritto con Janet Biehl.


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