Spending Review: in veterinaria, con un progetto.

Home Editoriali Spending Review: in veterinaria, con un progetto.
Spending Review: in veterinaria, con un progetto.

spending-reviewSe la sanità umana è soggetta ai tagli è plausibile che sia nel mirino anche quella veterinaria. Si parla di interventi mirati e non di tagli lineari, per cui SIVeLP si prende al responsabilità di formulare delle proposte.

La medicina veterinaria è composta per i ¾ da liberi professionisti, categoria che risente pesantemente della crisi. Non è quindi paragonabile come distribuzione all’umana, dove larga parte dell’impiego è pubblico.

Prima da cittadini che da veterinari, dobbiamo ribadire che la veterinaria pubblica è fondamentale. Ci auguriamo che non subisca tagli, tuttavia esistono dei margini di intervento che potrebbero persino qualificarne maggiormente l’operatività, senza ricadute negative sui servizi ai cittadini e la sanità in generale.

Il veterinario pubblico è un controllore. Dal farmaco agli alimenti, dalle strutture veterinarie, agli allevamenti, passando per le patologie infettive e le zoonosi; è la veterinaria pubblica la prima chiamata alla sorveglianza, davanti allo Stato ed ai cittadini. Se chi controlla esercita anche l’attività soggetta ai medesimi controlli, il sistema può presentare delle falle. Il concetto è chiarissimo per i medici dove la “prevenzione” è attività esclusiva.

Non è altrettanto chiaro in veterinaria. Sia per un retaggio culturale, quello del veterinario condotto con la sua “assistenza zooiatrica”, cura degli animali che aveva senso quando i veterinari erano pochi e quasi tutti pubblici, e non trova più motivazioni oggi. Sia per una certa confusione con il diritto di esercitare la libera professione dei medici, i quali, tuttavia, non svolgono compiti di controllo come i veterinari e, laddove ne sono incaricati, come appunto nella prevenzione, lavorano con rapporto esclusivo con il Sistema Sanitario.

Se vogliamo controlli efficaci e quindi sicurezza per cittadini, animali e produzioni, dobbiamo evitare la sovrapposizione nei compiti istituzionali, per cui, dove esiste controllo, non dovrebbe esistere attività pratica del controllore; vedi la possibilità di esercitare la libera professione.

Il risparmio per lo Stato è evidente: il veterinario pubblico che sta in ambulatorio a sterilizzare gatti non è sul territorio a controllare (si pensi ai microchip) e la sua funzione può essere facilmente assolta esternalizzando, con risparmi evidenti e consistenti. Non solo per il costo/ora del personale in senso stretto, ma anche per tutte le strutture e personale accessorio che si andrebbero ad evitare.

Forse non è un caso che nelle Regioni con i numeri percentuali maggiori di veterinari pubblici, resistono sacche di malattie infettive pericolosissime – come la brucellosi – che in altre aree sono eradicate da decenni.

Anche il mercato del lavoro ne trarrebbe vantaggio. Si elimina la distorsione determinata dalla concorrenza sleale e la potenziale posizione dominante derivante da un diverso rapporto del pubblico con i controlli, che esso stesso esercita, e con la disponibilità di informazioni “istituzionali”come gli elenchi di allevamenti e di proprietari di animali da compagnia, che non sono nella disponibilità del libero professionista. Sorprende che questo aspetto squilibrato della concorrenza non sia mai stato individuato dall’Antitrust.

Identico beneficio traggono le entrate tributarie perché ad esempio una profilassi rabbia fatta da un veterinario pubblico è esente da iva, mentre il privato la applica, con conseguente entrata nelle casse pubbliche.

Volendo un sistema efficace di controlli sarebbe anche razionale prevedere che ci sia mobilità nei primi anni di assunzione dei nuovi “controllori”, in modo da garantire la necessaria indipendenza dai rapporti con il territorio e dare la possibilità di rotazione e concentrazione delle risorse nelle situazioni a più alto rischio.

La semplificazione resta una chimera, quasi tradita dal bisogno di trovare quacosa da fare da parte di tanta burocrazia. In questi anni si aggiungono nuovi adempimenti e nuovi costi, ma sembra che nessuno si interroghi sull’opportunità e l’interesse pubblico in certi settori come quello degli animali da compagnia. Saranno veramente utili, se non presentano risvolti concreti sulla salute pubblica?

Le spese veterinarie sono anche un costo importante in agricoltura, dove non beneficiano dell’IVA agevolata, riservata a tale settore produttivo strategico.

Ci aspettiamo inoltre che lo stato investa nell’informare i cittadini che l’animale da compagnia deve essere detenuto da chi se ne prende realmente la responsabilità, evitando che momentanei coinvolgimenti emotivi trasformino la scelta di un animale da parte del privato in un onere permanente per i Comuni e lo Stato. Abbiamo la metà dei proprietari che prestano cure veterinarie ai loro animali, rispetto alla Francia. Questo rappresenta un gap enorme, sintomo di scarsa consapevolezza relativa alla loro detenzione.

La pesante contrazione della spesa richiede anche maggior serietà nell’orientamento alle professioni. Laureare un veterinario rappresenta un costo enorme per lo Stato. Oggi chi consegue questa laurea difficilmente ripaga con le tasse tali costi; spesso anzi è costretto a portare la sua professionalità all’Estero. Meglio prevenire con informazione corretta a famiglie e studenti, che basarsi unicamente sui bisogni “produttivi” delle facoltà.

Dr. Angelo Troi

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato