L’adeguamento ad un obbligo sanitario non dipende strettamente dal costo della prestazione.

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Ad oggi, nel corso del 2011, abbiamo registrato un solo caso e la profilassi contro la rabbia,

 che continua ad essere un obbligo, garantisce la popolazione, mentre la vaccinazione nei selvatici ha rappresentato la maggior novità nel rapido controllo della terribile malattia. La Regione Veneto, coinvolta insieme a Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige nell’emergenza sanitaria, ha fornito alcuni dati sulla copertura vaccinale della popolazione canina. L’analisi di questi dati ci permette alcune considerazioni di carattere generale sulla gestione sanitaria di procedure soggette all’obbligo di legge, come è la vaccinazione dei cani da parte dei proprietari nelle aree a rischio. In Veneto la profilassi 2011 è stata affidata ai liberi professionisti, a carico dei proprietari, ma non tutte le aziende sanitarie si sono adeguate. In particolare Feltre (AZ.ULSS 2) ha imposto la vaccinazione pubblica da parte dei veterinari dell’azienda sanitaria su tutto il territorio ad una tariffa di circa un terzo rispetto al comune costo di una profilassi anti-rabbia. A metà giugno, secondo i dati regionali, la copertura era del 49,55% del totale dei cani censiti (16.632). Un altra azienda sanitaria, la numero 10, aveva vaccinato 16.006 dei suoi 34.427 cani: una percentuale vicina al 47%. Abbiamo quindi una differenza non significativa -due punti e mezzo percentuali- tra un area dove è stata applicata la profilassi pubblica, nonostante le disposizioni regionali, ed un’altra dove la vaccinazione è stata praticata privatamente. Questa sostanziale parità percentuale è tanto più significativa sia per il numero di animali doppio dell’Azienda numero 10, che per la mancanza di incentivo psicologico alla profilassi. Infatti proprio l’azienda numero 2 aveva fatto registrare numerosi casi di rabbia, fino all’ultimo a febbraio 2011, e quindi ci si poteva aspettare una motivazione molto maggiore dei proprietari di cani a sottoporre a protezione il proprio animale, rispetto all’altra area geografica dove l’infezione non si è mai manifestata. Paradossalmente l’ “imposizione” della profilassi pubblica potrebbe anche rappresentare un disincentivo. Nelle altre aziende sanitarie la copertura percentuale è stata inferiore, ma è mancata l’informazione capillare delle precedenti. Possiamo dunque leggere questi dati come una conferma che non è il costo della prestazione a determinare o meno, l’adesione dei proprietari ma la qualità e quantità di informazioni che raggiunge l’interessato. L’impiego di personale dell’Azienda Sanitaria, distrae questo da controlli routinari di salute pubblica, come quelli attinenti la sicurezza alimentare. Viceversa, il ricorso ai liberi professionisti determina un risparmio rilevante per l’Ente pubblico ed una corrispondente entrata fiscale stimabile in una media del 45% del fatturato, che altrimenti non si verifica in quanto prestazione non soggetta a IVA. Sarebbero stati utili, per un confronto più coerente i dati di copertura del 2010 che aveva rappresentato un costo per la Regione di circa un milione di euro, cifra non irrilevante in un momento di seria difficoltà nel reperire risorse per la Sanità e presumibilmente risparmiata in buona parte quest’anno. L’informazione puntuale ai cittadini richiede comunque un’impiego di risorse pubbliche ben più limitato dell’ intervento diretto dei veterinari pubblici. Meglio quindi lasciare le profilassi ai liberi professionisti perchè non vi è una differenza significativa nei risultati di copertura, il costo per la collettività è pari a zero, lo Stato incassa la tassazione e non si distrae personale da altre mansioni.

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