La ricetta elettronica è uno strumento che, nel caso della sanità umana, può ridurre i costi e controllare la spesa. Ma che senso ha nella sanità veterinaria?
Se già i dati sono deludenti (i medici prescrivono in digitale una ricetta su dieci) non avrebbe veramente alcun senso volerla imporre ai veterinari.
- I veterinari liberi professionisti non sono pagati dallo Stato quando prescrivono, a differenza dei medici del SSN: i costi moltiplicati (tempo e tecnologia digitale) di compilazione della ricetta andrebbero ineviabilmente a ricadere sulla prestazione al cliente;
- ciò che i veterinari prescrivono non viene pagato dalla mutua;
- il meccanismo di creazione del database per la ricetta elettronica veterinaria è enormemente complesso e oneroso;
- i dati raccolti sarebbero ugualmente dati inesatti perché la ricetta non corrisponde automaticamente all’acquisto;
- quanto è sensato creare costose banche dati pubbliche per animali da compagnia quando la spesa sanitaria è soggetta a continue spending review per ragioni di sostenibilità
Se si vuole realmente tracciare il farmaco, si può farlo semplicemente raccogliendo i dati elettronici dai documenti di trasporto dei distributori, senza complicare la vita a proprietari e veterinari liberi professionisti. Si può anche prevedere l’affiancamento su base volontaria di un formato digitale o pec, come primo passo di uno snellimento della ricetta, se le autostrade digitali ne supporteranno il carico di dati.
Prima di costruire l’ennesimo carrozzone inutile della sanità sarebbe bene conteggiare costi e benefici.
Angelo Troi SIVeLP
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