Le funzioni degli Ordini, urge un’analisi critica.

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In questi giorni continua la battaglia legale sulla pubblicità tra medici e antitrust. La Federazione, condannata

a quasi un milione di euro di sanzione (831.000,00€ per l’esattezza), si è vista dimezzare l’importo dal TAR del Lazio, ma resta la sostanza del provvedimento. Non è legittimo inibire la pubblicità in nome del decoro “deontologico”.

Quella ordinistica è in effetti una situazione difficile da spiegare ai cittadini perché l’opinione pubblica vede negli Ordini Professionali la difesa di interessi corporativi, più che collettivi. La neo-eletta presidente di FNOMCEO, annunciando ricorso, afferma testualmente “La vera questione che abbiamo a cuore – che la sentenza del Tar ha lasciato in ombra – è il profilo giuridico del Codice di Deontologia medica che non è un atto regolamentare interno ad un’associazione di imprese, non potendosi ridurre il ruolo della Federazione nazionale e degli Ordini Provinciali dei medici e degli odontoiatri a mera impresa o ad associazioni di imprese, laddove è ormai consolidata la qualificazione di questi come Pubbliche Amministrazioni, che svolgono funzioni in conto e per conto della Stato nella tutela di interessi pubblici.”

Se guardiamo a casa nostra, nella veterinaria, è arduo intravvedere la contrarietà alla liberalizzazione del farmaco, più volte palesata dai vertici ordinistici, o gli elenchi “speciali”, come una funzione di tutela degli interessi pubblici. Per la verità non è neanche una tutela dei comuni veterinari, tutelati invece dalla proposta di liberalizzazione del SIVELP, soprattutto nell’esprimere la propria professionalità “secondo scienza e coscienza” e senza l’incubo continuo di sanzioni. Probabilmente nella faccenda esistono anche altri interessi, oltre a quelli del business legittimo delle aziende, ma non ci è dato conoscerli, perché SIVELP si regge sulle quote associative e non accede sistematicamente ad altri canali di finanziamento, proprio per scelta di libertà ideologica.

Il difficile equilibrio si manifesta anche nella sostanza della gestione: se l’Ordine si qualifica come Pubblica Amministrazione, chi vi partecipa attivamente dovrebbe essere messo nelle condizioni di ricavare un giusto compenso, come è diritto per tutta la Pubblica Amministrazione. Invece gli Ordini stanno in piedi grazie alle quote di iscrizione dei veterinari ed alcuni, di piccole dimensioni, fanno fatica a mantenersi una stanzetta per le riunioni. Chi si impegna negli Ordini, specie se libero professionista e situato in realtà provinciali a budget limitato, è spesso costretto a scegliere tra il lavoro e l’impegno “pubblico”, finendo per abbandonare le istituzioni di categoria a chi può permetterselo. La stessa giustizia deontologica diventa frustrante da amministrare, perché si tratterebbe di applicarla comunque a colleghi, in certi casi veterinari pubblici “difesi” dalle aziende sanitarie e persino nomi eccellenti e influenti, di cui a maggior ragione non si palesano notizie di provvedimenti disciplinari deontologici, anche se hanno fatto molto di più che curare male un gatto (con rispetto per il gatto!).

Se poi dovessimo creare un “tribunale” esterno e super-partes e continuare a finanziarlo con le quote di iscrizione, oltre che insostenibile economicamente sarebbe inutile, duplicando la giustizia ordinaria.

Ovviamente gli ordini come PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI dovrebbero garantire partecipazione, trasparenza, rappresentanza anche alle minoranze e pubblicità degli atti. Ed anche questi sono punti critici, ritornando per pura esemplificazione nella nostra professione. Punti critici che -ci sia permesso ipotizzarlo per spirito di servizio- potrebbero anche essere difficili da comprendere per i non addetti ai lavori.

Chi ha visto un verbale FNOVI di assemblea? Come si può chiedere di approvare un bilancio consuntivo l’ultimo giorno di mandato, in poco tempo, a pochi minuti dalle elezioni? Gli interventi sono tutti verbalizzati? Chi poteva partecipare a quell’assemblea? Era aperta solo ai presidenti di Ordine e delegati, come parrebbe da statuto? Se si, cosa ci facevano gli esponenti della cosiddetta “fnoviyoung” la cui valenza istituzionale era stata smentita ufficialmente? Che tutela potranno avere i legittimi interessi rappresentati dai molti non hanno votato l’attuale direttivo?

Manca molta strada, a nostro parere, per poter definire questa come P.A., specie se leggiamo i comunicati ufficiali…

Resta il fatto che l’opinione pubblica è confusa, talmente confusa che una recriminazione come quella di mai-più-come-Lea costruita contro la presunta malasanità veterinaria (tutto sommato, ben poco condivisa, a quanto ci risulta) è stata indirizzata in rappresentanza della categoria al nostro Sindacato e non ai rispettivi Ordini coinvolti nel caso e a FNOVI, che avrebbero emesso i contestati giudizi, pur sovrapponibili per certi aspetti, secondo quanto divulgato.

Tanta, troppa confusione…

come se chi si lamenta delle acciaierie scrivesse alla FIOM di Landini per farle chiudere e licenziare gli operai!

SIVeLP

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