La veterinaria pubblica all’AGRICOLTURA?

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Gianni Fava, assessore all’agricoltura della Lombardia è coraggioso e spara alto, chiedendo ai ministeri della Sanita’ e delle Politiche agricole di allinearsi a quanto avviene normalmente nel resto d’Europa:

”L’Italia e’ l’unico paese occidentale dove i servizi veterinari sono legati alla Sanita’ e non all’Agricoltura. E’ giunto il momento di portare i medici veterinari nell’alveo piu’ corretto del settore Agricoltura”-riporta ASCA-”Perche’, se i veterinari si occupano di zootecnia, devono rimanere svincolati dall’Agricoltura e afferire ad un pianeta differente?”, chiede l’assessore Fava. ”I medici veterinari, senza dubbio preparati, competenti e in numero decisamente superiore a quello dei colleghi in Francia, ad esempio, credo possano svolgere il proprio apprezzato ruolo in maniera ancora piu’ efficace se fossero direttamente collegati all’Agricoltura, settore in cui operano effettivamente, piuttosto che alla Sanita’. Sarebbe opportuno riflettere a livello di Governo su questa posizione che mi permetto di sollecitare”.

Fava interviene anche sulle normative legate al cosiddetto Benessere animale. ”Gli allevatori dovrebbero essere accompagnati nell’applicazione di norme che, nella maggior parte dei casi, effettivamente migliorano quello che l’Unione europea definisce le condizioni psico-fisiche degli animali e di riflesso anche le produzioni e il reddito – dice Fava – ma non dimentichiamo quello che potremmo chiamare il benessere degli allevatori. Se sommergiamo le imprese di leggi, disposizioni, provvedimenti e affrontiamo i produttori a colpi di verbale, rischiamo di deprimere la redditivita’ del settore zootecnico, di far chiudere le aziende e di aumentare la nostra dipendenza dall’import”.

L’on. Paolo Cova, non condivide la proposta.

“Troppo semplicistico pensare di risolvere i problemi spostando i veterinari pubblici dalla Sanità all’Agricoltura”, è la risposta, alle dichiarazioni dell’assessore Fava sui veterinari, di Paolo Cova, parlamentare del Pd. Non basta interessarsi di animali da reddito per essere destinati all’Agricoltura – spiega ancora Cova –. Il ruolo dei veterinari pubblici è sanitario e di controllo della sanità e salubrità degli alimenti. Forse sfugge all’assessore Fava che negli allevamenti operano anche tanti veterinari liberi professionisti che quotidianamente assistono gli allevatori con il lavoro continuo di veterinari aziendali”.

Semmai, aggiunge il parlamentare che fa parte della XIII Commissione Agricoltura della Camera, “è necessario ripensare al numero dei veterinari pubblici che attualmente è sovrastimato rispetto al numero dei capi animali enormemente diminuito in questi anni. Inoltre alcune competenze di istituto dei veterinari pubblici risultano superate e andrebbero riviste o addirittura tolte. Ma questo è un altro discorso”.

Per SIVeLP, la Veterinaria pubblica nella sanità ha un senso finchè resta legata a salute e sicurezza alimentare. Se non supera il conflitto controllore-controllato, se entra nella professione che si confronta ogni giorno con la concorrenza del mercato (negli allevamenti, come negli animali da compagnia), vengono meno le garanzie e le prerogative dell’essere “sanità”. A questo punto qualcuno potrebbe accorgersi che in agricoltura i contratti sono meno onerosi per lo Stato, che vi sarebbe maggiore duttilità nei confronti delle esigenze delle produzioni e che le dimensioni elefantiache potrebbero contribuire alla sofferenza del comparto. I più avveduti scoprirebbero che in molti Paesi si garantisce il consumatore avendo un quinto dei dipendenti pro-capite e patrimoni zootecnici di consistenza numerica pari a multipli dei nostri. Qualcuno potrebbe notare che chiedere maggiori assunzioni e poi aprire ambulatori per cani e gatti pubblici, mentre da sempre si chiede ai cittadini di pagare le spese del dentista per i figli non è coerente… e si finirebbe per “gettare il bimbo con l’acqua sporca”. SIVeLP lo ripete da tempi non sospetti, quando ancora “crisi” era solamente uno dei tanti vocaboli del Devoto-Oli.

In tempi di vacche magre, è proprio il caso di dirlo, è normale che la spesa pubblica sia controllata e confrontata con maggiore attenzione di quanto non sia stato fatto in passato. Abbiamo creato una generazione abituata a diritti senza doveri, fino a farci perdere la capacità critica di capire che -alla fine- paga sempre il contribuente. Ed i servizi si sono allargati ed ingigantiti, estesi acriticamente a tutto quanto richiesto da lobby di varia natura. Ed ora bisognerebbe che i cittadini costruissero dei sistemi di controllo di questa spesa che ricade sempre su di loro, per evitare l’autogiustificazione di situazioni impossibili da sostenere sul lungo periodo.

Questa è la vera sfida per portarci davvero fuori dal tunnel.

Angelo Troi


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