La levata di scudi contro l’assistente veterinario specializzato (ASU)

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Cosa sono gli ASU e cosa ce ne importa?

Un regolamento Europeo di oltre dieci anni fa (n°854/2004), prevede una figura di supporto al medico veterinario nelle attività ufficiali. Questa figura esiste praticamente in tutta Europa ed in qualche maniera è già presente anche in Italia, con la qualifica di tecnico del settore della prevenzione.

Si tratta di una professionalità che riguarda unicamente il sistema pubblico, da non confondere con infermieri veterinari, tecnici veterinari, assistenti veterinari, ausiliari di pronto soccorso/ambulanza veterinaria, guardie di vario genere ecc. In sostanza alcune mansioni come i tagli anatomici e la segnalazione di situazioni sospette, sono affidate nel resto della UE ad operatori che riferiscono al veterinario ufficiale, il quale mantiene tutta la propria autorità nel comparto sanitario.

Nulla che riguardi la libera professione, dunque.

Scopo dichiarato dall’Unione Europea è quello di ridurre i costi della filiera zootecnica e razionalizzare l’intervento del veterinario pubblico ufficiale, che non avrebbe più l’obbligo ad es. in catena di macellazione, di tagliare ogni organo secondo quanto specificano le normative, ma potrebbe rappresentare il punto finale di un percorso ispettivo la cui manualità è affidata a soggetti diversi.

Occorre precisare che i costi di ispezione delle carni sono onere dei produttori che versano diritti sanitari (anticipati) mese per mese, per avere l’attività di controllo dei propri prodotti. Un macello paga generalmente da qualche migliaio, a qualche decina di migliaia di euro al mese.

La questione è squisitamente pubblica (non riguarda la Libera professione), ma se allarghiamo un momento la visuale possiamo fare un analisi non in bianco/nero, ma con numerose “sfumature di grigio”. Partiamo da dati di fatto: abbiamo un sistema di sanità pubblica veterinaria che impiega circa 5.600 professionisti nelle aziende sanitarie e considerando i dipendenti in toto si stima in circa 8.000 stipendiati. Per i veterinari non deve essere così piacevole stare in catena a sezionare ripetitivamente organi, ma di certo non avranno paura di tecnici specializzati che presentano loro i casi “già pronti”. Anzi la presenza di figure diverse, inquadrate in graduatorie separate, con un bagaglio culturale essenzialmente pratico, non può che stimolare l’Ispettore al confronto costruttivo (si potrebbe supporre), persino per certi versi più chiaro dal punto di vista gerarchico e più indipendente nella sua qualifica funzionale. Il sistema è attivo da anni in altre realtà, e come ci viene sempre ripetuto per la libera prescrizione dei farmaci veterinari, è “previsto dall’ EUROPA”. Evidentemente, invece, L’Europa prevede e l’Italia provvede, a seconda delle situazioni.

Vi è un interesse pubblico che impedisca questo? Ci annunciano sempre che abbiamo la migliore veterinaria del mondo ma alcuni problemi giacciono sul tavolo da decenni, per una serie di ragioni che non stiamo ad analizzare, ma pensiamo solo a TBC, Brucella, Blue-Tongue, frodi alimentari, randagismo, anagrafe incompleta, tracciabilità spannometrica ecc.I frequenti sequestri non vedono solo i veterinari come soggetti attivi e promotori, anzi. Valutiamo i dati e confrontiamoli con gli altri Paesi, oggettiviamo segnalazioni di malattie infettive, qualità, malattie soggette a denuncia, casi di truffe o corruzione e quant’altro, e cerchiamo di seguire l’esempio più efficiente.

Sinceramente, come liberi professionisti gli ASU non ci preoccupano direttamente; molto di più impensierisce l’evidente conflitto controllore-controllato dei cosiddetti Specialisti Ambulatoriali, che si inquadrano in maniera formale a cavallo tra dipendenza pubblica e libera professione, con buona pace di molte chiare ragioni di opportunità e garanzia di imparzialità. La presunta migrazione dal servizio pubblico alla partita iva (con concorrenza al privato), in caso di riduzione dei posti nelle aziende sanitarie, è probabilmente una fantasia. Chi è dentro non esce di sicuro, ed è evidente che l’Europa ci chiede con insistenza di ridurre in in qualche modo la spesa pubblica, in gran parte rappresentata proprio dal personale. Per questo poche illusioni si devono fare sui numeri futuri. Magari un segnale chiaro ridimensionerà i sogni dei molti che ancora confidano nella veterinaria per avere un posto sicuro a tempo indeterminato. Invece la riduzione dei costi di filiera può avere ripercussioni concrete sulla libera professione, vuoi per l’aumento diretto di competitività delle nostre aziende zootecniche, vuoi per un piccolo aiuto a ridurre i numeri delle “epidemiche” decimazioni di aziende del settore, strangolate dai costi.

O costa meno produrre o si va tutti a casa, veterinari pubblici e privati inclusi.

Perché allora la veterinaria pare così compatta contro gli ASU? Forse non ci è dato capire fino in fondo i risvolti più delicati della questione (abbiate di noi pietà!), ma al di là della legittima posizione di tutela sindacale, verrebbe da chiedersi perché una professione composta per l’80% da liberi professionisti sia tanto coinvolta da un problema che interessa percentuali poco significative di iscritti agli Ordini (Ordini che comunque fanno l’interesse pubblico generale e non i sindacati), dei quali pochi versano i contributi ENPAV (i dipendenti pubblici hanno la cassa di previdenza separata), che non riguarda direttamente Istituti Zooprofilattici, dipendenti di altri enti pubblici e del mondo accademico, e che vanta una rappresentanza degli interessi dei liberi professionisti che ha sempre appoggiato le figure “trasversali” prima elencate, dal tecnico allo zoo-antropologo. Se dunque si chiama a raccolta la categoria dietro lo scudo istituzionale perché il nemico è l’ASU, rivendichiamo altrettanta determinazione anche contro le figure che tolgono occupazione ai liberi professionisti: dai fecondatori laici, ai consulenti che indirizzano i clienti verso i veterinari che fanno loro più comodo, fino a tutti i para-veterinari che consigliano trattamenti e suggeriscono terapie a tutti i livelli, spesso sdoganati e beatificati dai soliti venditori di corsi che fanno credere ai liberi professionisti di curare i loro interessi anziché quelli propri e di chi li finanzia.

Angelo Troi

 

 

 

 

 

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