Chiudono i servizi sanitari per i cittadini e aprono per gli animali.

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Il problema del debito pubblico ed il collasso della spesa sanitaria non devono essere tra i pensieri che inquietano tanti nostri amministratori

se è vero, come è vero, che in più parti d’Italia si propongono strutture di cura per animali a carico della collettività.

Il sindacato contesta queste iniziative, ovunque esse siano locate, per il semplice motivo che non rappresentano soluzioni ma perpetuano problemi.

Lo slogan della struttura “dedicata ai randagi” farebbe sorridere qualsiasi persona sensata: avete mai visto un randagio recarsi dal veterinario? Evidentemente, se ci va condotto da un “proprietario” non è un randagio e se vi è portato dalle autorità di controllo preposte, le strutture in cui viene curato non hanno alcun motivo di essere aperte al pubblico. I finti randagi, curati o sterilizzati in cambio di una macia, non li prendiamo neanche in considerazione, per questa volta.

Creare strutture vuol dire prevedere l’impossibilità di risolvere il problema ed in fondo in fondo, non avere neanche la volontà di farlo, perché risolvere il problema del randagismo, delle cucciolate fuori controllo, delle staffette e delle adozioni, “turba” troppi interessi consolidati o in fase avanzata di consolidamento. Una speranza di lotta al randagismo era riposta nei controlli sul territorio, ma se impieghiamo il personale negli ambulatori, anziché nei controlli, sembra che stiamo ad attendere che il problema si risolva da sé.

All’analisi dei costi la collettività dovrebbe sollevarsi in protesta: parliamo di 100.000 euro/anno medi per professionista a carico delle aziende sanitarie, di 70 euro/ora per le prestazioni, di strutture il cui mantenimento annuale (non parliamo neanche della realizzazione) sfiora in alcuni casi il milione di euro. Tutto ciò mentre si tagliano servizi sociali e sanitari ad ogni livello ed aumentano vertiginosamente i ticket.

Siamo anche di fronte ad una contraddizione di mercato. Infatti la struttura pubblica viene controllata da sé medesima e controlla quelle private. Assume informazioni sui possessori di animali che non sono a disposizione del privato, interviene per compiti d’istituto in situazioni che facilmente portano all’accaparramento di clientela. Introduce legittimi dubbi sul comportamento in caso di situazioni che richiedono denuncia all’autorità sanitaria, per il doppio ruolo, contemporaneamente rivestito. In certi casi, come l’applicazione dei microchip, eroga prestazioni senza l’IVA che noi liberi professionisti siamo tenuti ad applicare puntualmente, ed in generale non risponde a logiche di costi, ammortamenti, redditività delle prestazioni, perché a monte tutto è pagato dal sistema sanitario. Gli stessi fornitori possono trovarsi in difficoltà per l’onorabilità dei crediti in tempi ragionevoli, come sentiamo ribadire quotidianamente.

Analogamente le strutture presso le troppo numerose facoltà di veterinaria italiane non dovrebbero distorcere la concorrenza, ma lavorare esclusivamente sui principi e gli scopi della ricerca scientifica.

SIVeLP denuncia una crisi epocale del settore. Molti colleghi chiudono l’attività nelle ristrettezze di mercato di un titolo di laurea che non lascia molti margini.

Chiediamo dunque un ragionamento serio che non rincorra logiche populiste. Abbiamo una rete di strutture diffusa su tutto il territorio e queste strutture non solo non costano nulla ai cittadini, ma sono una risorsa in termini di versamento di imposte. Selezioniamo situazioni di reale bisogno e rivolgiamole a queste strutture, previo accordo con il sindacato. Sarà un bene per tutti.

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